Domani inizia il torneo alla villetta. Il campo non permette molto, sicuramente non ci saranno grandi "numeri" durante le partite, ma sempre meglio di niente (detto tra noi, un'assicurazione sugli infortuni non sarebbe male...). Il numero delle squadre mi ha lasciato basita, non pensavo che a venafro ci fosse così tanta gente che gioca a pallavolo. Sono contenta. Ci saranno i veterani dei tempi andati, quando c'erano ancora le 2 squadre di volley maschile e femminile (io, Paola, Assunta, Mario A., Ernesto De Sanctis, etc) - e vi parlo di taaaaaaaaaanti anni fa, quando addirittura Ernesto allenava noi ragazzine, dopo che Lucia ci aveva introdotto alla pallavolo con i suoi 500 suicidi giornalieri, ovviamente - e le nuove leve, o magari chi si vuole divertire e basta. Mi dispiace che manchino all'appello Margherita, Denise, Piero, e altri (o magari ci sono e sono io che sono disinformata e scrivo le stronzate sul blog). Ricordo le fantastiche trasferte in macchina, ricordo la strada ghiacciata in pieno inverno, la bufera di neve prima di arrivare a FROSOLONE, l'aria calda a palla, la macchina di Tiziana slittata dentro un fosso... Eh si, che bei momenti. Oppure quando a Pescolanciano ci accompagnarono mio padre e il padre di Paola (Paola perdonami se non era tuo padre, non me lo ricordo), e si rompevano così tanto i coglioni ad aspettarci che non vedevano l'ora che la partita finisse, e chiacchieravano tra loro e non guardavano neanche le loro brave figliuole in azione, facendo precipitare la nostra autostima six feet under. Ma noi imperterrite continuavamo, perchè il nostro orgoglio era più forte di una roccia, e soprattutto non potevamo lasciar vincere delle stronzette montanare. Addirittura c'era una ragazza che oltre a fare il nostro campionato, giocava anche in un altro (cosa che non si può fare) e noi lo sapevamo, e quando l'hanno scoperto e hanno squalificato la loro squadra abbiamo goduto come dei mufloni. Poi però abbiamo perso. E vabbè, capita. Oppure quando giocavamo contro il famigerato Sant'Agapito, immobili nel campo, e, non si sa come, qualcuno si faceva sempre male. Leggende metropolitane dicevano che le ragazze del Sant'Agapito venivano torturate durante gli allenamenti con mazze di scopa, bastoni per tenere dritte le braccia in ricezione, bacchettate per punire le più pigre. I due allenatori (un fratello e una sorella) incutevano timore solo a guardarli, tipo Diamond di Mila e Shiro. Non sapemmo mai se si trattava della verità o erano tutte cagate inventate sul momento. Ma anche questo era il bello della pallavolo. Una volta a Isernia venne a vederci il nostro mitico professore di educazione fisica Di Nunzio (Amedea per gli amici); appena lo vedemmo cominciammo a fare le cretine in campo, ridevamo senza motivo (la cosiddetta zurla secondo la mia amica Carla di Ostuni), non riuscivamo più a concentrarci per la partita. La nostra allenatrice ci lanciava sguardi di fuoco dalla panchina (ovviamente eravamo io e Paola le due stupide) ma noi non riuscivamo a fermarci, fino a quando non viene chiamato il time out e Lucia ci fa un cazziatone ai confini della realtà (e ci stava tutto). Scioccate e mortificate, torniamo in campo, consapevoli di avere fatto una mega figura di merda, non solo perchè poi perdemmo, ma anche con Amedeo che con tanta allegria e curiosità era venuto a vedere come giocavamo in campionato (nonostante questa stronzata mi fece giocare lo stesso nel campionato scolastico, santo prof). In una delle nostre ultime partite contro l'Isernia, Lucia si ruppe i legamenti. Cadde a terra urlando di dolore, e io, che le avevo alzato quella maledetta palla e Dio solo sa quanto mi sentivo in colpa, non riuscivo a trattenere le lacrime, loro uscivano dai miei occhi senza controllo, e il mio viso si bagnava incessantemente, nonostante in quel momento provassi pura rabbia. Eravamo tutte scosse da quello che era appena successo, stavamo perdendo 2-0 ed eravamo in svantaggio anche al terzo set. Una volta portata via Lucia dal campo, ci è successa una cosa che non ho mai più provato in tutta la mia vita. Ci siamo sentite unite, nel dolore e nella competizione, nel volerci vendicare del brutto incidente, nel volere la vittoria a tutti i costi e nel vedere fottutamente sconfitte le nostre storiche avversarie. Vincemmo, e alla fine del quinto set, stremate dalla stanchezza, esplodemmo e ci abbracciammo felici e in lacrime. La rabbia e l'odio che avevo provato per tutta la partita si erano trasformati in una dolce beatitudine dei sensi e in gioia. Ricordo le facce dall'altra parte della rete, deluse ma anche stupite della nostra forza, unione di squadra e spirito agonistico. Ragazzi, questa è la pallavolo.
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